La signora Eufemia Era una lucida mattina di vento, di quelle che sembrano chiudere una stagione per cominciarne un’altra dopo aver cambiato i fondali e le luci. Distesa sotto la vasta terrazza prospiciente la piazza del Duomo, la campagna aveva smesso i colori e la patina caliginosa dell’estate per vestirsi di un verde più intenso, appena sfumato d’azzurro lungo l’orizzonte. Avrei voluto un segnale altrettanto nitido che indicasse una stagione nuova anche per me, a soffiar via le mie caligini esistenziali. L’uomo appoggiato alla balaustra di pietra, in quell’ora insolita, non poteva essere che Malpiga, inconfondibile per la sagoma massiccia dentro la giacca sbilenca e i pantaloni sformati. In paese lo chiamavano semplicemente “lo scrittore” anche per la confusione generata dal fatto che si firmasse con un nome diverso da quello anagrafico. Poteva avere sessant’anni e lo si vedeva poco in giro. Ero forse il solo a sapere qualcosa di lui: si chiamava Ambrogio Malpiga e scriveva con lo pseudonimo Reno. S’era trasferito in paese da quando, alcuni anni prima, aveva perso la giovane moglie. Credo che sopravvivesse grazie ad una piccola rendita, ma che vivesse per il gusto di quanto gli restava della sua professione, cioè qualche rubrica su [...]
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